L’articolo 39 della Costituzione italiana (quel documento che tutti citano ma pochissimi leggono…) sancisce che:
“ai sindacati non può essere imposto altro obbligo se non la loro registrazione presso uffici locali o centrali, secondo le norme di legge. E’ condizione per la registrazione che gli statuti dei sindacati sanciscano un ordinamento interno a base democratica”.
Questo vuol dire ciò che…dice, ma sta anche a significare una cosa importantissima non dice ma che è implicita, questa: i sindacati delle loro entrate od uscite di denaro, si insomma dei loro bilanci, non debbono rendere conto a nessuno.
Oggi, per l’appunto, desidero darvi qualche notizia sui tre maggiori sindacati italiani e cioè CISL – CGIL – UIL . Sono più preciso: se mi conoscete un po’ (come spero) avrete già capito che non sto qui a discutere su ciò che i responsabili di dette organizzazioni dicono, discutono, politicizzano, condividono o no, delle loro battaglie; né affermerò se queste ultime siano giuste o meno, né come vengano condotte. Niente di tutto questo, come sempre vi ha detto, chi scrive non fa politica. Mi limiterò ad informarvi sulla loro vita riferendomi particolarmente agli iscritti, all’impegno dei loro rappresentanti ed a quanto costa questo impegno.
Debbo comunque avvertirvi di una cosa: gli ultimi dati ufficiali (ISTAT) che sono riuscito a trovare, risalgono al 2006. Ma, come ognuno di noi è consapevole, in questa meravigliosa Italia unita da 150 anni tutto aumenta, per cui basta farsi in proprio due conti per stabilire – anche se virtualmente – quanto siano cresciute le cifre che qui di seguito vi fornisco e che, ripeto, sono dati ufficiali ISTAT del 2006.
Orbene, nell’anno più volte citato gli iscritti ai tre maggiori sindacati erano 11 milioni 731 mila 269. Di questi il 49,16%, cioè 5 milioni 767 mila 103 erano pensionati (la cui quota, come è noto, cresce ogni anno) gli interessi dei quali sono ben diversi dai lavoratori in attività. Sempre secondo l’ISTAT nel 2006 i lavoratori in Italia assommavano a 22 milioni 988 mila; questa cifra certifica come i sindacati ne rappresentino il 25,9%: poco più di un quarto. Di questo quarto di lavoratori un quarto (per capirci: il 25% del 25,9%) è composto da dipendenti del settore pubblico. Da tutto ciò si evince che i sindacati rappresentino prevalentemente pensionati e gente pagata dallo Stato.
Va anche notato che la circostanza secondo la quale dei lavoratori possano trovarsi a fare attività per il sindacato e non per l’amministrazione che li ha assunti, è del tutto legale poiché prevista dai contratti collettivi firmati con i sindacati stessi. Dalla stessa ISTAT si apprende che nel 2006 le giornate di lavoro mancato, sommando tutti i distacchi sindacali, sono arrivate ad 830 mila 598 pari all’assenza dal servizio, per un anno, di 2.276 dipendenti. Per i permessi cumulati sotto forma di “distacco sindacale” le giornate perse sono state 17.095, equivalenti all’assenza perpetua di 47 dipendenti. A questi dati vanno aggiunti i permessi retribuiti che hanno portato via 263.466 giornate pari all’assenza di 1.198; se poi vogliamo prendere in considerazione anche (perso per) le riunioni dobbiamo dire che queste sono costate 115 mila 868 giornate lavorative, equivalenti a 527 dipendenti…spariti dal loro posto di lavoro.
La domanda è: ma tutta questa serie di assenze, quanto è costata? Il costo stimato (siamo sempre nel 2006) delle assenze per motivi sindacali ammonta a 121 milioni 440 mila euro. A questa cifra si devono sommare i 67 milioni 170 mila euro, relativi alle 817 mila 144 giornate perse per funzioni pubbliche elettive. Il tutto per un totale di 188 milioni e 570 mila euro.
Viva l’Italia.
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